VOLEVO DIRTI

di Sabrina Petyx

con SERENA BARONE, ESTER CUCINOTTI, CATERNINA MARCIANO' e SABRINA PETYX

Costumi e Scene DANIELA CERNIGLIARO

Disegno Luci FABIO GIOMMAROLI

Assistente alla Regia SIMONA SCIARABBA

Regia GIUSEPPE CUTINO

 

Produzione Compagnia dellArpa e MArte riunite

in collaborazione con Palermo Teatro Festival

Spettacolo finalista al Premio Ugo Betti 2008

 

Volevo dirti ciò che vive nascosto dietro i nostri occhi, che si annida in quel breve spazio che va dal cuore al cervello, dalla bocca alle mani, dal fegato ai piedi, dentro quella vertigine in cui riconoscere ed incontrare l’ultima immagine che sia possibile sopportare di sé.

L’uomo si ciba della sua vendetta.

La vendetta è una fame che non si sazia mai, vorace come un intero branco, ronza dentro le vene come uno sciame.

È la passione la femmina più vorace del branco, una fiera pronta ad uccidere prima di essere tradita, una mantide capace di svelarsi in segreto, di tessere trame dentro cui nuove prede cadranno vinte da un peso eterno come la colpa. 

La passione, come la madre di ogni fede. La fede, come una passione che non si vergogna di sé, bisbiglia  nelle orecchie formule di veleni letali, esplode nelle viscere di un nemico che non si da alla fuga, armata delle ragioni dei giusti, offrendo il perdono come un riparo da conquistare, trovando quiete nel sangue che altro sangue vorrà vendicare.

Orrido piatto da mangiare freddo, la vendetta unirà destini che non si sarebbero mai voluti incontrare, imbrigliandoli dentro un’attesa da ricompensare.

E attendono. Irene, Agata, Tina e Lucia, attendono.

Sedute su una sedia, davanti ad una pentola, dietro ad una porta, sotto una finestra, dentro un ascensore, nello spazio fra un piano e l’altro, imprigionate dentro una improbabile voliera capace di far convivere specie strane, in balia di una giostra senza giostraio, protette dal silenzio ovattato dei salotti buoni, con le coscienze intonse e immacolate come i divani coperti dal cellofan per non farli usurare.

Irene, Agata, Tina e Lucia, iridescenti uccelli del paradiso, piante carnivore e vittime sacrificali, sacerdoti di un rito e agnelli da sacrificare, chiuse fra le pareti di un orrore da consumare, da espiare, da trattare con cura, da far cuocere a fuoco lento, immerse fra parole vuote da ruminare in segreto. 

Parole sfuggite al desiderio di un cuore senza più colore, un cuore essiccato come un pugno di sale, che si corrode, che brucia e che allarga le braccia sussurrando: peccato!

s.p.

peccato… non si poteva evitare? Bastava così poco...

quante volte abbiamo pronunciato queste frasi, dette in mille e una occasione. 

Volevo dirti è tutto qui: La nostra quotidianità vista attraverso l’occhio distorto di una realtà in continua involuzione.

Noi agiamo, consapevoli degli orrori che portiamo avanti e, anziché inorridire, ci vestiamo a festa con i nostri vestiti più belli e confessiamo le nostre colpe rivestendole delle piume più belle. 

Chi non si è mai creduto nel giusto almeno una volta, pur con la consapevolezza di essere un mostro?

g.c.


repliche

2018 - Piccolo Teatro Patafisico di Palermo 

2019 - Teatro Comunale Garibaldi di Enna


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