Shitz racconta la storia di una famiglia ebrea di epoca contemporanea; Shitz, il padre, e Setcha, la madre, non desiderano
altro, per la propria realizzazione, che far sposare la figlia Shpratzi.
Finalmente, ad una festa, l'emarginata Spratzi incontra Tcharkés, un giovane arrivista dalle velleità imprenditoriali. I due
subiscono uno strano e poco credibile colpo di fulmine e decidono, la sera stessa, di sposarsi.
Dopo i festeggiamenti, folli ed estenuanti, del matrimonio, inizierà il turbine di avvenimenti che trascinerà sardonicamente
la famiglia da un'illusoria “meritata” felicità, agli abissi dello sconforto.
Rielaborando il testo di Hanock Levin, Filippo Renda tenta di cogliere i lati più grotteschi ed estremi della vicenda volendo
esaltare, nella prima parte, le intuizioni comiche geniali proprie della cultura Yiddish e, nella seconda, la profondità della riflessione sociale che esce
dalla realtà narrata circoscritta, per divenire preoccupantemente universale.
La famiglia Shitz si presenta al pubblico con un irriverente cinismo, un distacco grottesco, che paiono delinearne i
componenti con tinte fumettistiche ed irreali.
In realtà, nel corso della storia, verrà rivelata una latenza cancerogena che spingerà la famiglia, non tanto ad
un gioco al massacro, quanto ad una vera e propria autodistruzione.
Una satira che condanna l'inanità di ogni voracità umana: la sete del palato, quella di potere, quella di affermazione del
proprio Io (non insieme agli altri, ma attraverso gli altri). Un cabaret sfigato, recitato senza vittimismo: ciò che fa tanta pena è la grande convinzione di
poter realizzare i propri intenti, riempirsi di desideri fino a scoppiarne.
I personaggi subiscono, nella loro “corsa alla pancia piena” un imbruttimento progressivo che li farà sembrare,
causa la loro spietata necessità di giustificare la proprio esistenza, dei mostri di egoismo.
Nonostante tutto gli attori non recitano la mostruosità: si limitano (e niente può essere più limitante) ad essere
ingoiati dal loro istinto di sopravvivenza, mal digeriti e rigurgitati in una realtà contorta che li deforma e, da spettacolari, li rende scandalosi.